Prof. Oriano Mecarelli "A volte non abito qui"
Raccontare l'epilessia per vincere lo stigma sociale della malattia e migliorare la qualità di vita
Ci sono malattie che oltre ai disturbi fisici, oltre alle terapie prolungate nel tempo e agli effetti collaterali ad esse legate, oltre alle limitazioni e ai disagi imposti dalla patologia, comportano una serie di difficoltà sociali e interpersonali dovute a pregiudizi, ignoranza, incomprensioni e paure prive di fondamento ma che purtroppo sussistono ancora oggi. Una di queste malattie è sicuramente l'epilessia, che nelle forme classiche si manifesta con crisi tonico cloniche improvvise e palesi a tutti i presenti, impossibili da prevedere e nascondere, che diventano fonte di vergogna talvolta, di chiusura, di isolamento. E per vincere lo stigma sociale di una malattia che anche se impegnativa può essere tenuta sotto controllo con i farmaci e consentire una buona qualità di vita a chi ne soffre si deve trovare il coraggio di parlarne, di fare outing, di condividere con gli altri non solo gli aspetti clinici della malattia, ma anche la propria quotidianità, gli stati d'animo, le difficoltà e le vittorie. Ed è da questa riflessione che sono nati due progetti sostenuti dalla LICE (Lega Italiana contro l'Epilessia) di cui ci parla il Prof. Oriano Mecarelli, Ricercatore a La Sapienza, Università di Roma e Responsabile dell’Ambulatorio per le Sindromi Epilettiche della UOC di Neurofisiopatologia del Policlinico Umberto I di Roma presentandoci due libri, il primo "Sara e le sbiruline di Emily" realizzato in collaborazione con una mamma per spiegare ai bambini cosa sia l'epilessia, perchè non averne paura e come aiutare chi ne soffre, e l'altro "A volte non abito qui" nato da un concorso rivolto a chiunque volesse raccontare la propria esperienza, personale o di un familiare, concorso che ha visto una massiccia partecipazione e che è sfociato anche in uno spettacolo di teatro danza. Il Professore ci racconta come la partecipazione sia stata entusiastica e come abbia permesso, a chi ha letto il libro, di conoscere meglio la malattia e di comprendere meglio le difficoltà e il disagio che vive chi ogni tanto "non abita più il proprio corpo", perchè la medicina narrativa aiuta sicuramente chi racconta in prima persona la propria storia, con un processo di elaborazione e metabolizzazione importante, ma aiuta soprattutto chi gli vive accanto, chi condivide la quotidianità senza magari conoscere pensieri e paure di chi convive con una malattia impegnativa come l'epilessia, e aiuta i medici a meglio interagire con i propri pazienti, a rapportarsi con loro come persone e non solo come malati e a stabilire quel'alleanza terapeutica che è alla base di ogni percorso di cura.
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